sabato 1 maggio 2010

dichiarazione

sporcarsi le mani per sopravvivere, questo è il senso del lavoro. uno strumento dei tanti che abbiamo che ci assicura di aprire gli occhi almeno tante volte quante sono quelle in cui li abbiamo chiusi. assumendo che esista nello sviluppo del feto un momento zero in cui si discrimina la presenza di occhi e palpebre, per convenzione (o ignoranza), imponiamo che il cosino inizi con gli occhi chiusi. poi magari li apre (contento lui, l'utero dovrebbe essere buio, ma pure l'oracolo di delphi diceva "conosci te stesso", e lo stesso iron man, dotato di lampada toracica glamour, è un uomo che per indole non sarà mai incinto, altrimenti sostituendolo con una iron woman, per consentire ai bambini della limitrofa città di vederlo nella fila dietro alla mia cacando oggettivamente il cazzo avrebbero dovuto usare accorgimenti di fotografia, effetti speciali o solo costumi da incrementi sensibili di budget. sarà per quando i tempi saranno più maturi e l'infanticidio assumerà il ruolo che gli compete) e da quel momento, se li chiude per non riprirli più, ci sono buone probabilità che di lì a poco diventi concime.
checché se ne dica, noi non siamo il nostro lavoro. certo, passare la vita a tradurre omero renderà diversi da quello che affetta salumi e taglia formaggi, ma entrambi saranno sicuramente persone migliori di quello che rompe le gambe ai morosi? non possiamo dirlo. sta di fatto che oggi è festa ovunque, pure un po' nel mio cuore che non abbisogna esattamente di palladio per non farsi spappolare da schegge di armi omonime. e occorre festeggiare per sancire il valore del lavoro come diritto da cui ne scaturiscono altri, ma che, in quanto diritto, non può essere motivo di squilibrio tra chiusure e aperture degli occhi

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